Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Sanchez c. Francia

Oggetto: Articolo 10 della Convenzione (libertà di espressione) – candidato politico che non cancella prontamente dalla sua bacheca FB commenti di terzi contro gruppi musulmani – provocazione all’odio – responsabilità del ricorrente in quanto titolare dell’account.

Il ricorrente, sindaco e presidente di un gruppo politico, all’epoca dei fatti era candidato alle elezioni legislative nella circoscrizione di Nimes. Nell’ottobre 2011, il ricorrente pubblicava sulla bacheca del suo account Facebook, che gestiva personalmente e che era aperto al pubblico, un post riguardante un suo avversario politico. Due persone commentavano il post facendo trasparire disprezzo per la presenza musulmana presso la città di Nimes. Il giorno dopo, la compagna del principale avversario politico del ricorrente veniva a conoscenza dei commenti al post e, sentendosi direttamente insultata, sporgeva denuncia contro il ricorrente ed entrambi gli autori dei commenti.

I giudici nazionali, dopo aver constatato l’esatta individuazione dei destinatari dei commenti, ossia i gruppi musulmani, e l’assimilazione dei medesimi a spacciatori, prostitute, feccia, condannavano gli imputati per incitamento all’odio e alla violenza, irrogando loro una multa. In particolare, i giudici condannavano il ricorrente quale “produttore di un sito di comunicazione pubblica online che mette a disposizione del pubblico i messaggi inviati dagli utenti di internet”, come tale responsabile del contenuto dei messaggi solo se ne era a conoscenza prima della loro messa in linea ovvero se si è astenuto dal rimuoverli non appena venutone a conoscenza. Sul punto, i giudici rigettavano l’argomento difensivo per cui il ricorrente non aveva avuto tempo di leggere i commenti al post.

Dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il ricorrente lamenta un’interferenza illegittima nella propria libertà di espressione.

La Corte, ritenuto che l’interferenza avesse sia una base legale prevedibile che uno scopo legittimo, ossia proteggere la reputazione o i diritti altrui, si sofferma sul requisito di “necessità dell’interferenza in una società democratica”. La valutazione di tale requisito viene effettuata sotto diversi profili. In primo luogo, la natura dei commenti era sicuramente illegale: l’esistenza di un contesto elettorale, benché implichi un’ampia libertà di espressione ai fini del dibattito politico, non giustifica la diffusione di messaggi contrari alla tolleranza e al rispetto della pari dignità. In secondo luogo, il mezzo di diffusione utilizzato, ossia l’account Facebook, rappresenta una forma di espressione destinata a raggiungere l’elettorato in senso lato, potenzialmente la popolazione nel suo insieme: si contraddistingue per grande accessibilità nonché capacità di immagazzinare e diffondere grandi quantità di dati. Ciò posto, la responsabilità dei politici nella lotta contro i discorsi d’odio si esplica anche entro piattaforme quali Facebook. Nel caso di specie, il Ricorrente non è stato criticato per aver usato il suo diritto alla libertà di espressione ma per non aver vigilato e reagito ai commenti pubblicati sulla bacheca del suo account (dopo sei settimane, i commenti erano ancora visibili). Un ulteriore profilo da considerare è quello delle conseguenze del procedimento interno nei confronti del ricorrente. A riguardo la Corte osserva che l’ammenda irrogata, in assenza di altre conseguenze provate dal ricorrente, non ha determinato un’ingerenza sproporzionata.

La decisione della Corte non è unanime, trovando un’opinione dissenziente quanto al rapporto tra responsabilità penale del titolare di un account Facebook e la posizione politica rivestita dallo stesso titolare. L’esistenza di una responsabilità derivata in capo al titolare di un account sarebbe dannosa per la libertà di espressione, incoraggiando l’autocensura, soprattutto qualora si tratti di personaggi pubblici o politici, con un numero elevato di “amici”. Il rischio di una giurisprudenza che non distingua (come invece aveva fatto la Corte nel diverso caso Delfi AS c. Estonia) i portali di notizie online gestiti a fini commerciali, su temi di attualità, da altri tipi di forum online, ove pubblicare idee su qualsiasi argomento, è quello di trasformare il titolare dell’account in un vero e proprio controllore, se non addirittura censore di ciò che viene commentato sulla sua home: di fronte al dubbio circa la natura litigiosa di un commento di cui il titolare non è l’autore, questi sarà incline a cancellare o denunciare il commento in nome del principio di precauzione.

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