Corte di Cassazione – sent. 3808 del 2022

Riportiamo di seguito il contributo di Marco Bassini “La Cassazione conferma, per la prima volta, l’applicazione dell’aggravante di negazionismo”.

Introduzione

Con la sentenza n. 3808 dello scorso 19 novembre 2021 e depositata il 27 gennaio 2022 la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha fatto luogo, a quanto consta per la prima volta, all’applicazione della circostanza aggravante c.d. di negazionismo per un fatto di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico e sulla negazione della Shoah.

Come noto, l’aggravante in parola è stata introdotta nel 2016 (con la l. 16 giugno 2016, n. 115) e modificata l’anno seguente (con la l. 20 novembre 2017, n. 167), quando ancora le previsioni incriminatrici erano contenute nell’art. 3 della l. 13 ottobre 1975, n. 654 (recante “Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966”), disposizione che è stata successivamente trasferita all’art. 604-bis c.p.

La condotta punita ora dall’art. 604-bis, comma 1, è sanzionata con la reclusione fino a diciotto mesi o con la multa fino a 6.000 euro; nella forma aggravata, il trattamento sanzionatorio è inasprito dalla previsione di una cornice edittale da due a sei anni di reclusione.

I fatti di causa

La Corte di Cassazione è stata investita del ricorso avverso la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Milano, che aveva parzialmente riformato la decisione del Tribunale con la quale, in esito a un giudizio abbreviato, l’imputato era stato condannato a sei mesi di reclusione a titolo di concorso nella diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico e di negazione della Shoah.

Con ricostruzione non contestata dal ricorrente, i giudici accertavano che quest’ultimo aveva partecipato ad alcune attività di propaganda svolte in Milano in occasione del Giorno della Memoria del 2017. Tali attività consistevano nella diffusione di volantini, nell’affissione di striscioni e nella realizzazione di scritte i cui contenuti erano ispirati al nazionalsocialismo e inneggianti alla superiorità della razza bianca contro ogni presenza di giudaismo in Europa. Inoltre, gli stessi contenuti negavano l’Olocausto ebraico.

La sentenza d’appello veniva impugnata con due motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamentava, a suo dire, l’esistenza di una presunzione assoluta di illegalità di ogni pensiero di natura revisionista sull’Olocausto ebraico, asserendo che la sussistenza della Shoah fosse stata criticata da numerosi studiosi e che fosse illegittimo considerare questo genocidio come «l’unico di cui non fosse dato parlare», come se lo stesso godesse di uno «statuto speciale». Con il secondo motivo di impugnazione, si deduceva invece la carenza dell’elemento soggettivo.

La decisione della Suprema Corte

La Cassazione ha respinto entrambi i motivi di ricorso, rilevando peraltro che le doglianze dell’imputato non avessero sviluppato alcuna specifica critica sulla idoneità delle pubblicazioni sequestrate a propagandare idee negazioniste, e dunque sull’idoneità della condotta del ricorrente a integrare le fattispecie di reato a lui ascritte. Al contrario, con argomentazione pressoché circolare, il ricorso si limitava a invitare la Corte a verificare le tesi revisionistiche e i fatti storici al centro delle idee propalate dal movimento cui aderiva l’imputato.

I giudici di legittimità hanno anzitutto precisato la differenza tra revisionismo e negazionismo, evidenziando che:

mentre ogni storico che rispetti è revisionista, nel senso che è disposto a rimettere costantemente in gioco le proprie conoscenze qualora l’evidenza documentaria lo induca a rivedere le sue posizioni, il negazionista è colui che nega l’evidenza storica stessa, come accade in questo caso per l’Olocausto ebraico.

Di qui, la sentenza si diffonde in una disamina delle ragioni sottese all’introduzione dell’esplicito riferimento al negazionismo, richiamandosi altresì ai precedenti giurisprudenziali della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla compatibilità con l’art. 10 CEDU di disposizioni incriminatrici dell’espressione di opinioni offensive della memoria e dell’identità dei sopravvissuti all’Olocausto.

Proprio la giurisprudenza della Corte europea ha messo in luce una distinzione dirimente ai fini della legittimità della colpevolizzazione di condotte negazioniste, che oppone fatti storici chiaramente stabiliti come l’Olocausto e fatti rispetto ai quali è tuttora in corso un dibattito tra gli storici circa le modalità in cui sono avvenuti e la loro effettiva interpretazione: a fronte di ciò, ferma restando l’esigenza di garantire un dibattito sereno e aperto sulla storia, la Corte europea ha ritenuto di poter escludere la tutela dell’art. 10 CEDU per il discorso revisionista o negazionista relativo all’esistenza dell’Olocausto. Occorre quindi valutare se siano rimessi in discussione o meno fatti storici.

Secondo la Cassazione, dunque, la prospettiva revisionista abbracciata dal ricorrente a sostegno della legittimità delle espressioni adoperate in quanto esercizio della libera manifestazione del pensiero mediante critica storica di fatti incerti è basata su semplici asserzioni e sulla riproposizione di argomentazioni ampiamente smentite da documenti ufficiali della comunità internazionale e delle autorità giudiziarie. Il giudice di legittimità ha così respinto al mittente una serie di asserzioni ostinatamente riproposte dal ricorrente, espressive di ideologie già giudicate dalla storia e del tutto estranee all’analisi storica di un fenomeno storicamente avvenuto e acclarato.

La Suprema Corte ha inoltre esaminato anche il secondo motivo di ricorso, fondato sul preteso vizio di motivazione sull’elemento soggettivo, respingendolo parimenti. Le fattispecie incriminate integrano, infatti, ipotesi di reato a dolo generico, e la piena consapevolezza e volontà di porre in essere condotte vietate da parte del ricorrente non può essere messa in discussione. Del resto, l’esistenza dell’elemento psicologico era facilmente desumibile da una circostanza incontrovertibile come la scelta di compiere le condotte addebitate in occasione del Giorno della Memoria, «in pieno e sordo contrasto» con una specifica previsione normativa che ha istituito tale ricorrenza, che l’imputato non avrebbe potuto non conoscere.

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